mercoledì 30 dicembre 2009

Buon 2010!


Questa immagine me l'ha mandata un mio caro amico. Mi ha suggestionata molto, mi ha fatto pensare. E' un'immagine augurale, ognuno può leggerci dentro ciò che vuole.
Auguro a tutti un anno di salute, pace, passione, impegno, tenacia, entusiasmo, risate, amore.

lunedì 28 dicembre 2009

Siamo molto lontani dalla meta.

Non si può negare che l'informazione migliore, più dettagliata e rigorosa sulla scuola italiana venga dal "Sole24ore". Un recente articolo ci illustra la scuola che dobbiamo aspettarci per il prossimo anno. Oltre alla sfilza di numeri piuttosto inquietanti, che scandisce le modalità attraverso le quali nel corso dei prossimi mesi prenderà corpo il taglio drammatico ai danni della scuola preventivato dalla Finanziaria del 2009, colpiscono in particolare due aspetti.
Il primo è una conseguenza non sufficientemente sottolineata dell'operazione di macelleria socio-culturale configurata dall'intera operazione: circa un anno fa i giornali riportavano dichiarazioni incrociate di Gelmini, Brunetta e soprattutto Tremonti, tese a ribadire che il 97% del bilancio totale del ministero dell'Istruzione è determinato dai costi del personale e che quella era la voce da abbattere in maniera più definitiva. Per capire che all'intenzione sono seguiti i fatti, basta considerare i posti di lavoro tagliati. Ma anche l'azzeramento di tutto ciò che concerne la programmazione didattica e amministrativa, che ha ridotto le scuole - questa volta realmente e omogeneamente - nelle condizioni di avere problemi nell'ordinaria gestione di carta igienica, carta, toner, manutenzione delle macchine.
Se da una parte mancano gli strumenti primari per la sopravvivenza, si fa gran sfoggio degli investimenti previsti nella digitalizzazione e nelle "nuove" (sempre nuove, ahimé) tecnologie. In pool position è il nuovo totem della modernità: la LIM, lavagna elettronica multimediale, sulla cui efficacia in dimensione squisitamente culturale pochi si stanno spendendo; la formazione, come nelle migliori tradizioni e tanto per mantenere una parte dei docenti nella convinzione che le tecnologie sono e saranno sempre "Nuove", è operata quasi esclusivamente sul piano addestrativo. Pochissime le riflessioni sugli aspetti cognitivi di questo strumento. E' previsto un investimento di 2 milioni sull'e-book in una condizione in cui, a distanza di più di un anno dalle prime adozioni e di quasi 2 anni dalle campagne governative su questo dispositivo (tutte giocate sul caro libri e sul peso degli zaini) la riflessione (fuori e dentro le scuole) latita. Il lavorio è tutto delle case editrici, tese ad adeguare i propri prodotti alle nuove disposizioni. Poco o nulla su quanto il cambiamento potrebbe comportare - in positivo o in negativo - rispetto alla qualità dei prodotti.
Innegabilmente la scuola italiana - in particolare la superiore - ha bisogno di interventi sostanziali; la mia convinzione è che questi debbano andare in direzione completamente opposta a quella configurata dal progetto (per il momento) Gelmini-Tremonti. Che licenzia una scuola paradossale: niente carta igienica; donne e uomini che hanno impegnato le proprie vite in una condizione precaria definitivamente esplulsi dal sistema; tecnologie sfavillanti, a cui però ci si accosta con una logica da "saper fare", sempre più dominio dei cosiddetti "esperti". Un progetto politico, quello di riscattare la scuola dalla sua funzione di "ascensore sociale", rendendola invece strumento di sedimentazione di destini socialmente determinati. Nessun progetto culturale. Schizofrenia istituzionalizzata sotto il segno di parole d'ordine amate da molti: rigore, modernità, semplificazione, ordine. Siamo molto lontani dalla meta.

mercoledì 23 dicembre 2009

Il taglio è salvo!

Settimana convulsa, quella prima di Natale. Un vero e proprio tour de force. Per quanto riguarda la scuola superiore sta accadendo di tutto, di più. Ma, se scorrete le rassegne stampa specializzate, vi accorgerete che quasi nessuno dei nostri quotidiani si è preso la briga di occuparsi di problemi e tematiche che potrebbero cambiare completamente il volto del segmento superiore dell'istruzione italiana.
I regolamenti Gelmini sul "riordino" - fantasiosa definizione per intendere "taglio", considerato che alla base di tale operazione c'è la legge 133/08 di Tremonti, quella che ha previsto una sottrazione di circa 8 miliardi di euro ai danni della scuola nel triennio 2009-11 -, hanno collezionato pareri negativi da tutti gli organi competenti: il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, la Conferenza Unificata delle Regioni, il Consiglio di Stato. Il parere della Commissione Parlamentare della Camera è stato bloccato, in attesa di un pronunciamento del Consiglio di Stato, che ha sottolineato alcune criticità dei regolamenti. Nel giro di 10 giorni, a quanto pare dalle ultime indiscrezioni, i dubbi sono stati fugati. Per saperlo dobbiamo consultare la stampa specializzata: i media generalisti sono tradizionalmente disinteressati a vicende che non siano i precari in mutande o il disabile picchiato nel bagno di scuola.
Nel giro di pochissimi giorni, dunque, non sappiamo ancora come, il ministero potrebbe avere sciolto i dubbi avanzati dal Consiglio di Stato. In merito a cosa? I regolamenti prevedono di affidare a decreti ministeriali materie come la definizione degli indicatori per la valutazione, gli obiettivi specifici di apprendimento, l'articolazione delle cattedre: snodi delicati che dovrebbero essere affidati ad un provvedimento avente forza di legge, quindi ulteriori regolamenti, con iter ben più lungo del Dm.
Sul raccordo tra le disposizioni dei regolamenti e il Dpr 275/99 (Autonomia scolastica) il Consiglio di Stato ha sollevato non poche questioni: quella della quota di curricolo lasciata alla decisione delle singole scuole per venire incontro alle esigenze e vocazioni del territorio; o quella della costituzione di dipartimenti e comitati tecnico-scientifici, imposta dai regolamenti e che invece dovrebbe essere lasciata alla libera determinazione delle autonomie scolastiche.
Il Consiglio di Stato non ha invece avuto nulla da osservare in merito alle procedure adottate per l'emanazione dei regolamenti. L' art. 64 della legge 133 del 6 agosto 2008 (Contenimento della spesa per il pubblico impiego, Disposizioni in materia di organizzazione scolastica) prevedeva al comma 3 “per la realizzazione delle finalità previste dal presente articolo [i tagli economici di cui si è detto su, ndr]” il ministro dell’Istruzione e quello dell’Economia predispongono un piano programmatico di interventi" e al comma 4 "per l’attuazione di quel piano devono essere adottati entro 12 mesi “uno o più regolamenti”. Si tratta dei regolamenti. Dal 6 agosto 2008 ad oggi sono passati ben più di 12 mesi e i regolamenti non sono stati ancora approvati. Le scuole si troveranno ad affrontare l'orientamento degli alunni delle medie in una situazione di rabberciata incertezza, con una gran parte della materia non ancora normata. Il lavoro sugli organici, sul soprannumero, la mobilità dei docenti verranno esaminati in tempi incongrui rispetto al normale, considerando che le iscrizioni alle superiori (per via di questo caos) potrebbero subire l'ulteriore proroga al 25 marzo.
In questa situazione si sono chiuse le scuole, in questa stessa si riapriranno, in attesa che il 14 gennaio la Commissione Cultura della Camera approvi i regolamenti e che questi passino in seconda lettura al Consiglio dei Ministri, per essere poi pubblicati. Il contenitore vuoto è servito. Il caos che ne deriverà è facilmente immaginabile. Ma almeno si è garantita la possibilità che la scure che Tremonti ha preventivato sulla scuola italiana si abbatta con la scansione prevista e senza intoppi.

venerdì 18 dicembre 2009

Ragionamenti Forlivesi

Un periodo di continui interventi in assemblee e seminari. Qui documento le riflessioni che ho presentato al seminario FLC-CGIL- Proteo del 18.12.2009 a Folrì.



sabato 12 dicembre 2009

Sostegno, senza se e senza ma.

Perché insisto tanto? Perché non riesco veramente a comprendere - da insegnante, da cittadina, da donna - quale scellerato progetto sottoculturale possa rendere preferibile piegare una generazione ad una massa di consumatori acritici piuttosto che di cittadini consapevoli e partecipi. Quello che è successo ieri a Roma, mentre i lavoratori manifestavano nell'unico corteo "autorizzato", è la rappresentazione di un tentato progetto di distruzione delle coscienze. A che serve? A chi serve? Serve a loro, a coloro che ci governano. Nel tentativo di perpetuare le condizioni che stanno rendendo possibile la affermazione del nulla, o - più ancora - della dissipazione, della polverizzazione di uno strumento potente come la scuola, nascondendo il tutto sotto il tappeto di uno scialo di parole demagogiche: ordine, serietà, merito, autorità. Sventolando spauracchi per i più sprovveduti, per i pavidi di tutti i tempi: centri sociali, Sessantotto, comunisti. Questi ragazzi non hanno direttamente conosciuto sensi di appartenenza che non fossero per una squadra di calcio. Non hanno avuto grandi maestri comuni. Non hanno creduto fortissimamente, identificando in quelle idee una parte consistente ed imprescindibile della propria identità. Nonostante tutto ciò, ci stanno provando. Come si può pensare di non sostenerli?

venerdì 11 dicembre 2009

Augh!

"Manifestazioni come quella di oggi a Roma sono antistoriche. Manifestazioni come quelle di oggi sembrano manifestazioni contro la pioggia". Sono parole di quel grande intellettuale, di quella mente illuminata che è il ministro Sacconi. Non pago di quanto affermato ieri, ha rincarato la dose questa sera.
Istruzioni per l'uso prima di sintonizzarsi sul Tg1 delle 20: per i masochisti, tenere a portata di mano copiose compresse di Malox; per i più sani: tenere saldamente in mano il telecomando.
L'accorato ed indignato editoriale dello yes man Minzolini, che racconta come l'aver trasmesso le dichiarazioni di Spatuzza abbia screditato il nostro Paese e il suo premier (che, da parte sua, sta facendo di tutto per raggiungere l'obiettivo autonomamente, a sentire quello che spara in giro). Verso la metà del Tg finalmente la manifestazione di Roma, la geniale interpretazione fornitane da quel degno rappresentante delle istituzioni, che continua - con dubbia vis comica, a dire il vero - ad insultare noi primitivi, che ancora indugiamo nei riti tribali dell'esercizio della democrazia e della partecipazione. Chiude l'eterodiretta Gelmini, che promette "modernità" per la scuola (una formula buona per ogni stagione) e si rammarica (riferendosi ai tafferugli che ci sono stati tra studenti, precari e poliziotti) che gli studenti siano (come sempre!) manipolabili dai centri sociali. Il Sessantotto, stranamente, questa volta non è stato citato da nessuno dei tre. Che stiano cominciando a perdere colpi?

giovedì 10 dicembre 2009

Pensierino della sera

Secondo il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, lo sciopero della Cgil ha motivazioni politiche e non sindacali. Il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ha affermato, invece, che le adesioni alle ultime agitazioni della Cgil non hanno superato il 7-8%: "Se poi le piazze sono coperte da pensionati - ha aggiunto Brunetta - e da altri cittadini, questo fa parte della libertà di manifestare"( www.repubblica.it ore 19.30).
Pensieri e parole di due ministri della Repubblica. A sottolineare il rispetto nei confronti di lavoratori, pensionati, politica, sindacato e di uno strumento di democrazia come lo sciopero. Certo, una goccia nel mare rispetto alle dichiarazioni dei Grande Capo sul CSM, di qualche ora fa.
Questi sono i nostri interlocutori. Meditiamo, gente, meditiamo... E domani mattina mettiamocela tutta per esserci.

Esternalizzando esternalizzando...

Con l'emendamento al decreto 112 del luglio 2008 si trasformava in definitivo un elemento individuato come transitorio nella Finanziaria 2006. Quell'emendamento stabiliva infatti che si può assolvere l'obbligo di istruzione anche nel sistema regionale della formazione professionale e nei percorsi triennali istituiti dal ministro Moratti, che in seguito a quel provvedimento uscirono dalla sperimentalità per diventare definitivi.
Fu il segno che il penoso minuetto - durato da Berlinguer a Gelmini - basato sulla manipolazione delle formule "obbligo scolastico-obbligo di istruzione" aveva portato alla vittoria di quel partito trasversale (centro destra-centro sinistra) che ritiene curiosamente che l'obbligo possa essere assolto non a scuola. Una vera e propria contraddizione in termini, se ci si pensa, considerato il mandato che la Costituzione affida alla scuola stessa. Con quel provvedimento si è comunque accantonata in sostanza un'opportunità rivoluzionaria per la crescita del Paese, si è depauperata la portata di un provvedimento di civiltà, si è istituzionalizzata e legalizzata la divaricazione di destini su base sociale: la scorciatoia per assolvere l'obbligo per gli "sfigati" socialmente (che - copiosi - confluiscono nell'istruzione professionale) sono i percorsi triennali, non la scuola degli altri.
Nonostante questa orribile deroga al concetto di obbligo scolastico ci abbia insegnato (qualora ce ne fosse bisogno) che più della civiltà, della cultura e dell'educazione poté il profitto (quello che sostiene il business delle agenzie formative, nella fattispecie), sconvolge comunque un emendamento del governo alla Finanziaria "in discussione" (per modo di dire, a quanto pare) in queste ore, che prevede l’estensione della possibilità di assolvere all’obbligo di istruzione con i percorsi di apprendistato.
L'azienda sostituta della scuola a tutti gli effetti: un altro passo da gigante nella direzione in cui tutto - dai regolamenti Gelmini, al disegno di legge Aprea - sta tentando di trascinare non più la scuola; ma un informe, eterogeneo, esternalizzato, depotenziato da ogni autorevolezza culturale e da ogni connotazione costituzionale "sistema dell'istruzione": a marce diverse, come diversi potrebbero essere - di luogo in luogo, di zona in zona - gli attori ammessi a parteciparvi.
E' appena il caso di ricordare che Il dettato costituzionale prevede l'assolvimento dell'obbligo scolastico nel solo sistema di istruzione, che comprende le scuole statali e paritarie: a quanto pare, si tratta di malinconiche reminiscenze retrò.
Tra questa orribile proposta e la sua praticabilità si inserisce, fortunatamente, il fatto che il precedente governo di centrosinistra aveva elevato nel 2007 a 16 anni l'età dei minori per l'accesso al lavoro, compreso l'apprendistato. Finalmente un motivo per poter rimpiangere con la convinzione dettata da fatti il governo di centrosinistra.
Ps
E' bello, dopo una giornata faticosa e negativa, trovare commenti ai post precedenti. E' una bella sensazione, il contatto con l'altro nelle cose che si scrivono perché si credono. Grazie!

mercoledì 9 dicembre 2009

Il re è nudo... E la democrazia un'ipotesi.

La notizia è di oggi: la Questura di Roma ha deciso di negare l'autorizzazione al corteo unitario di studenti dell'università, della scuola e precari della conoscenza previsto per venerdì, giorno dello sciopero generale del mondo della conoscenza indetto da Flc-Cgil ed altri. Partendo dalla Sapienza, il corteo avrebbe dovuto raggiungere quello dei lavoratori in Piazza della Repubblica, per poi arrivare al ministero. Un altro frutto amaro della mancanza di unità sindacale: il provvedimento è reso possibile dalla firma di alcune sigle sindacali e dei partiti di maggioranza di un protocollo secondo il quale si vieta l'organizzazione di più di un corteo in questo periodo, per non ostacolare lo shopping pre-natalizio.
Le modalità per scoraggiare la possibilità che questa generazione di giovani provi a prendersi il proprio destino tra le mani e si sottragga alla manipolazione della (dis)informazione sono tra le più fantasiose. Il tentativo di omologazione in una rimozione collettiva dei drammatici problemi che scuola e università affrontano e dovranno affrontare (di cui il precariato rappresenta la punta dell'iceberg), l'operazione di riduzione a un pensiero unico acritico, la volontà di rendere i ragazzi sprovveduti e passivi destinatari di un progetto di deroga della funzione più alta ed emancipante dell'istruzione e della conoscenza è uno dei peggiori servizi che questo mondo sta tentando di fare al mondo che verrà. E' una logica da "dopo di me il diluvio", che ricorda da vicino l'ossessiva autoreferenzialità di tanti politici - anche della cosiddetta opposizione - che continuano a non voler ammettere - per necessità di non abbandonare postazioni, per incapacità di elaborazione, per indisponibilità all'autocritica - che il re è nudo.

lunedì 7 dicembre 2009

Liceo Balotelli-Sissoko

CorrieredellaSera.it porta una notizia curiosa e interessante. Un liceo scientifico di Arezzo - l'istituto Francesco Redi - in occasione del derby d'Italia dello scorso sabato sera (Juventus-Inter), ha cambiato per un giorno il proprio nome, diventando il Liceo Balotelli-Sissoko, dal nome dei due giocatori di colore delle squadre di Milano e Torino. Il primo, in particolare, - cittadino italiano a tutti gli effetti - è stato a più riprese oggetto di insistiti cori razzisti, Commentando l'iniziativa presa in consiglio di Istituto, il dirigente scolastico Claudio Santori ha affermato: "Credo che servano anche queste cose per far riflettere ragazzi e adulti, perché nessuno può essere italiano per il colore della pelle». " Vorrei ribadire - ha aggiunto il preside - che io non ho indicato Balotelli come modello. Il modello per me è Socrate e il suo pensiero sul rispetto della legge». Fare i conti con le condizioni della realtà e tentare di intercettare linguaggi, situazioni, interessi dei ragazzi non rinunciando ad una dimensione culturalmente significativa che - a quanto pare - è parte dell'offerta formativa della scuola, che si segnala per iniziative a favore della rimozione di barriere razziali e per un'attenta analisi e pratica del dettato costituzionale, può essere una strada giusta e fruttuosa. La giornata di sabato al Balotelli-Sissoko si è conclusa regolarmente dalla sesta ora con un'assemblea per fare il punto sugli effetti dell'esperimento. Ma probabilmente le conseguenze di questa come di altre esperienze - se inserite in un progetto culturale di ampio respiro e se vissute non come provocazione dell'interesse mediatico, ma come testimonianza attiva di un atto di convinta consapevolezza - possano essere valutate nelle pratiche di cittadinanza che i ragazzi esprimeranno nel tempo.

domenica 6 dicembre 2009

Se ci siete, battete un colpo

Bella manifestazione, quella di ieri, in una di quelle gloriose e gioiose giornate di sole che Roma sa regalare anche in dicembre. Il percorso, il solito, fatto 1000 volte, fino a San Giovanni, dove siamo arrivati in un tramonto infuocato e pieno di voci, d visi. Sono periodici rituali salvifici, che non muovono niente, se non la sensazione di non essere soli. Poi, però, tutto torna come prima.
Scuola, tantissima. I precari, che continuano la loro battaglia solitaria nell'indifferenza e nel silenzio di media ed opinione pubblica. Di insegnanti e studenti ne ho incontrati tantissimi. Sono quegli stessi che - da qui a 10 giorni, l'11 dicembre - torneranno probabilmente in piazza per scioperare. Il pensiero va naturalmente alla dilapidazione che il mondo della politica continua a fare delle energie buone, sane, democratiche, di una società che continua a chiedere risposte a chi da troppo tempo ha parole secche. L'ostinazione a non tenere conto che - nonostante la delusione - una parte della scuola (1 milione di lavoratori solo gli insegnanti) e degli studenti continua a muovere idee, resistenza, democrazia si rivela un errore sempre più imperdonabile. Aspettiamo di comprendere se la neonata Federazione della Sinistra e i momenti di autocritica che proprio ieri sono stati fatti nel corso dell'assemblea nazionale al Brancaccio porteranno ad un impegno significativo e ad una elaborazione divergente e culturalmente convinta sulla scuola dello Stato e sui suoi destini.

lunedì 30 novembre 2009

Pagheranno la nostra crisi

Sono stata intervistata da Red TV. Ecco il video:

Senza conoscenza non c'è futuro?

Bello il video che trovate sulla home page della FLC CGIL.


E' stato girato a Roma, durante un sabato soleggiato di novembre, durante la manifestazione "100 piazze per la conoscenza". Parla di un Paese in cui cittadini, lavoratori, intellettuali, giornalisti convergono nell'affermazione - che dà il titolo al filmato: "Senza conoscenza non c'è futuro". Già, giornalisti. I due più famosi intervistati lì, Oliviero Beha e Riccardo Bocca, quante parole hanno speso negli ultimi anni per sostenere la qualità della scuola dello Stato? Quanto si sono tenuti informati, aggiornati, hanno seguito e stigmatizzato il processo di deterioramento, di disinvestimento e spesso di oltraggio che si sta perpetrando da tempo ai danni della scuola? Perché in prima persona, loro che sembrano - considerate le dichiarazioni - avere le idee piuttosto chiare in proposito, non si propongono come iniziatori di un nuovo corso dell'informazione sollecita, puntuale, attenta rispetto a ciò che sta accadendo?Sarebbero di un tempismo eccezionale. Tra pochi giorni passeranno in seconda lettura in Consiglio dei Ministri regolamenti sul riordino della scuola superiore che, se solo letti, restituiscono una scuola minimale, la cui modificazione risponde esclusivamente a esigenze di risparmio. Ma che nel contempo dissipa il mandato che alla scuola dello Stato aveva affidato la nostra Costituzione. Una scuola molto molto diversa da quella che la propaganda sta celebrando. Provare per credere.

domenica 29 novembre 2009

Commemorazione (provvisoria) della scuola della Costituzione

Che la Costituzione sia considerata un orpello demodé in questo strano periodo della nostra storia è provato dalle conseguenze di un fatto che è rimbalzato sulle pagine dei giornali con i consueti toni scandalistici: una nota ministeriale intitolata "Commemorazione dei sei soldati morti a Kabul" aggiungeva - all'informazione sul tragico evento del 17 settembre scorso, che tutti ricorderanno - un "invito" rivolto ai dirigenti a "promuovere nelle scuole occasioni di riflessione e di solidale partecipazione, osservando alle ore 12,00 di lunedì p.v., in concomitanza con i funerali solenni, un minuto di silenzio”. Un invito è un invito, si sa. Si può declinare, accettare. Non implica coercizione. Non prevede accoglimento necessario. Simonetta Salacone, dirigente della scuola Iqbal Masih, una delle anime della scuola democratica nel nostro Paese, che all'epoca non accolse l'invito - per una serie di motivi che qui è inutile sottolineare e che, soprattutto, non aggiungono nulla al senso di questa riflessione - è sotto procedimento disciplinare per aver declinato? ignorato? non accolto? non ricevuto in tempo? l'invito di Gelmini. In realtà, qualsiasi sia la risposta a quelle domande, nell'atteggiamento della Salacone si configurano soprattutto due principi sanciti dalla nostra Costituzione: la libertà d'insegnamento dell'art. 33 e l'autonomia scolastica riconosciuta dal nuovo Titolo V (art. 117). Principi che evidentemente non sono da considerarsi elemento significativo per assumere o no un provvedimento contro l'"indisciplinata" Salacone. Talmente indisciplinata da animare, lo scorso anno, un movimento di resistenza appassionata alla scuola-Gelmini; che si configurava sotto forma di decreto-legge (senza possedere requisiti di necessità e urgenza) e normava sotto forma di circolare ministeriale sulle iscrizioni la materia ancora non approvata contenuta nel regolamento sulla scuola primaria. Il non essere esecutori acritici del Berlusconi pensiero non va bene. E certe violazioni, a quanto pare, non ammettono perdono. Questa triste storia - giocata tra reali violazioni ministeriali e patetica coercizione demagogica all'omologazione ad un rituale collettivo di pura forma (il minuto di silenzio) che nulla dice sull'effettiva partecipazione a un realissimo dramma determinato da un realissimo stato di guerra - ci racconta un'Italia in cui le vie per intimorire, stigmatizzare, mortificare sono infinite. E assumono, in modo sempre più preoccupante, l'obiettivo strategico della repressione degli ormai rari rigurgiti di scuola democratica, laica, autonoma, riflessiva.

domenica 22 novembre 2009

Dubbi impudichi?

Su Repubblica di ieri Bartezzaghi ha scritto un interessante articolo sugli e-book. Argomento suggestivo, sul quale vi invito a leggere una riflessione di Marco Guastavigna e mia, che rimanda, peraltro, anche al problema dell'adozione dell'e-book di testo, che presto - con la prossima circolare in proposito - ritornerà in auge. In linea generale, come si può evincere da alcune analogie tra il nostro scritto e il pezzo di Bartezzaghi, condivido certe perplessità e sono certa che alcune resistenze saranno dure a morire; sulla necessità che muoiano, poi, sarà bene chiarirsi le idee, considerando che non esiste uno statuto prescrittivo di modalità di lettura migliori o peggiori. Esistono i gusti, le preferenze, le vocazioni singole, le storie individuali, le tradizioni. Esiste il mondo intorno, che cambia e ci sollecita a sfide che non devono essere intraprese fidesiticamente, ma se ne vale la pena, se esistono margini di miglioramento rispetto alla situazione precedente. Ed esiste la capacità di riflettere distintamente su contenuto e contenitore. Una distinzione che, in questo caso, si riempie di quei significati sui quali abbiamo cercato di soffermarci con spirito critico e analitico, tentando, quanto più possibile, di esentarci da timori di lesa maestà e ossequi alla tradizione e alla Cultura più tradizionalmente significativa.
Vorrei qui provare ad estendere il discorso a un piano più generale, che non contempli esclusivamente le propensioni dei lettori abituali, di coloro che in questi anni di scarso appeal della lettura registrato dal nostro Paese, hanno tenuto condotte di lettura superiori a quelle medie, peraltro modestissime. Il recente rapporto Censis sulla comunicazione ha rivelato, insieme ad una serie di dati molto significativi sugli stili comunicativi nel nostro Paese, una ulteriore flessione della lettura sulla quale sarà il caso di riflettere. In una situazione di emergenza culturale, in cui i social network sottraggono tempo al leggere; in cui il press divide rappresenta un fenomeno indicativo di tendenze che - oltre a far storcere il naso ai puristi dell'odore della carta e delle sensazioni tattili - dovrebbero far riflettere sulle propensioni al consumo di lettura e di informazione; in cui - dal punto di vista scolastico - le competenze di lettura dei nostri quindicenni (uno dei benchmark di Lisbona) stanno diminuendo, anziché aumentare; in cui la familiarità delle nuove generazioni con dispositivi digitali è evidentissima; credo sarebbe opportuno svincolare la tradizionale diatriba (libro cartaceo-e-book) da posizioni apocalittiche o integrate e puntare alla sostanza del problema: l'atto della lettura come elemento di cittadinanza, di educazione, di cultura, di emancipazione, indipendentemente dal dispositivo di cui ci si serve. In una fiducia, questa sì motivata, radicata in secoli di tradizione e di cultura, che il libro non morirà mai. Che la suggestione che un libro sprigiona potrà continuare ad essere tramandata, tanto essa è intrinseca e capace di esercitare fascinazione, E che il nostro legittimo piacere di accedere alla lettura attraverso il dispositivo cartaceo non è in pericolo; né sono in pericolo i numerosissimi valori aggiunti che quel dispositivo automaticamente comporta, convogliando significatività.
Da parte di noi insegnanti, per quanto riguarda l'editoria scolastica, sarà a maggior ragione necessario esigere in modo intransigente che i dispositivi digitali offrano standard qualitativi, quanto ai contenuti che propongono, almeno analoghi a quelli del cartaceo. Ammesso che la proposta dell'e-book a scuola diventi qualcosa di realmente praticabile e non l'ennesima trovata demagogica.

venerdì 20 novembre 2009

Luci della ribalta

Scrivo questo post per la prima volta con un bellissimo e-Mac, schermo 20 pollici, che mi è appena stato regalato. Annoto questo dato per fermare ancora di più nel tempo l'emozione che questo dono mi ha provocato. Ma procediamo.
Ieri, ascoltando casualmente - cosa che non faccio mai - il Tg2 delle 13.00 vengo attirata dalla notizia che alcuni licei di Roma avrebbero deciso di affibbiare il 5 in condotta ai ragazzi che occupano la scuola; inoltre che "l'intenzione di manifestare" da parte dei ragazzi sarà repentinamente segnalata alle famiglie via sms (miracolo della tecnologia!). Rimango piuttosto sconcertata dalla notizia; scandalizzata decisamente dalla seconda. Non foss'altro perché in questo mese a Roma molti licei hanno occupato simbolicamente, organizzando "didattica alternativa", informazione sui regolamenti Gelmini, talvolta anche con l'aiuto degli insegnanti. E le cose sono andate avanti piuttosto pacificamente e senza particolari attriti. Un analogo servizio è stata passato sul Tg del Lazio.
La scuola raramente ha l'onore delle cronache. Ma l'apoteosi della funzionalità degli strumenti che il nostro lungimirante ministro ha approntato per reprimere, non sfugge ai più attenti professionisti della piaggeria. Ad una stampa compiacente e pronta a battere i tacchi e mettersi sull'attenti. Nessuna analisi, nessuna riflessione sul fenomeno. Solo il senso della vittoria del Bene sul Male. Solo il trionfo di serietà, autorità, muscolarità, dagli effetti rassicuranti. Eppure nel vuoto pneumatico dell'informazione, della partecipazione, di una politica che ha dimenticato mandato e vocazioni, di un sistema di imbarbarimento diffuso e istituzionalizzato, la notizia dovrebbe essere (si tratta, oltre che di una notizia, di un vero e proprio miracolo) il fatto che ragazzi figli di Maria de Filippi e delle scatole che ti fanno diventare ricco, del Grande Fratello e dei riflettori che creano la realtà e la annullano quando si spengono, trovino voglia, motivazione, energia per scendere in piazza, per manifestare, per tentare di capire qualcosa di questo liquame mefitico in cui vivono. Che per un attimo tentino di sottrarsi al destino di consumatori acritici al quale li abbiamo troppo spesso condannati o nel quale colpevolmente li lasciamo. Non sto legittimando l'occupazione delle scuole. Ma credo che un Paese che abbia a cuore il proprio futuro non possa non rallegrarsi del rigurgito di partecipazione che in molti istituti si sta manifestando, nonostante il disinteresse, l'inerzia, la passività di tanti degli adulti di riferimento. Forse loro, i ragazzi, si stanno accorgendo che ci stanno smontando pezzo dopo pezzo la scuola. Forse sono meno tristi e depressi di noi, più disposti ad una reazione. Forse di questo dovremmo almeno incuriosirci, se non interessarci. Cosa fareste voi, se vi arrivasse un sms per avvertirvi che - attenzione! - vostro figlio "ha intenzione" di manifestare?

domenica 15 novembre 2009

pedagogia di Stato

La settimana scorsa un articolo sul "Corriere della Sera" ha sollevato il problema dell'insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione", uno delle new entry disciplinari del Gelmini curricolo. Il rischio - secondo molti - è quello di farne un'ulteriore "educazione" nella scuola della ineducazione. Persone, amici, che stimo moltissimo e che da anni si occupano intensivamente dello studio della Costituzione e del senso che potrebbe assumere nel percorso scolastico, continuano a ribadire che - nonostante il rischio sia concreto - la necessità che la Costituzione entri nella scuola è prioritaria. Vorrei qui sottolineare un paio di concetti. L'introduzione dell'insegnamento di Cittadinanza e Costituzione si colloca nella generale deriva autoritaria che caratterizza la gestione Gelmini, come risposta al fenomeno del bullismo; e - più in generale - in quella introduzione coatta, non negoziata e intransigente di determinare il ritorno a regole, a rigore, a rigidità (tutti ingredienti capaci di minare la dimensione relazionale nella scuola e di tradirne la sua finalità, non di curare il bullismo) muscolari, di facile effetto, che possono solleticare al più la sensibilità di chi ha apprezzato il decreto sicurezza, le ronde, e le varie declinazioni di una scuola che ritorna indietro di 50 anni. Io credo che la Costituzione possa e debba trovare nella scuola della Repubblica il luogo primario della sua conoscenza. Ma confinare il suo insegnamento nell'ambito di una disciplina separata, con tanto di orario e valutazione, crea il rischio di piegarla ad una sorta di "pedagogia di Stato". Mentre si tratta del contenuto più trasversale e pluridisciplinare, che solo in una strutturazione dei curricoli in verticale, in una flessibilità organizzativa e curricolare reale e finalizzata a licenziare cittadini consapevoli e critici, potrebbe trovare la collocazione più significativa. Ma di tutto questo, nel nostro Paese, non si discute più da tempo.

domenica 8 novembre 2009

Contraddizioni

Leggo sul "Corriere della Sera" di oggi un pezzo di Giulio Benedetti che riferisce di uno studio della Banca d'Italia, che ho scaricato e che mi accingo a studiare, che dimostrerebbe che un buon diploma e una buona laurea significano una maggiore possibilità di trovare un'occupazione, salari più elevati ecc: in conclusione, un ritorno dell'8% del capitale investito per ciascun anno di corso (al Sud il 9%). Un rendimento medio privato per ogni anno di istruzione ben maggiore di qualunque altra forma di investimento. E questo solo per considerare il guadagno individuale derivante dalla formazione, trascurando quindi le "economie esterne" e i vantaggi che toccano tutta la collettività.
Molto bene, in fondo la conferma di quanto - in termini differenti - pansiamo, diciamo, scriviamo da anni. Che va a corroborare con dati economici una serie di altri concetti - la cultura emancipante, la cultura come rafforzamento della cittadinanza, la cultura come costruzione di identità, la cultura come creazione di lavoratori più felici e consapevoli - che ci porta a individuare nelle politiche di risparmio con cui da anni si gestisce la scuola della Repubblica una delle più colpevoli mortificazioni del processo di crescita del Paese.
Quello che decisamente stupisce è il commento di Gelmini ai dati evidenziati dallo studio degli economisti Cingano e Cipollone: «Il modo migliore per rispondere alla crisi è prendere atto che siamo nel­la società della conoscenza, e dunque occorre attrezzarsi». Verba volant, lo sappiamo. E nessuno si prenderà mai la briga - in questo come in molti altri casi - di inchiodare Gelmini all'incoerenza delle sue affermazioni. Alcuni dei modi che hanno scelto: distruggere il sistema del team e delle compresenze alla scuola primaria, indicato in tutta Europa come un modello didattico estremamente efficace; decurtare 140.000 unità di personale scolastico; aumentare il rapporto alunni/docente per classe; ideare una "riforma" della scuola secondaria che taglia tempo scuola, discipline, laboratori e - di conseguenza - sostegno per i diversamente abili, inclusione per i migranti; annullare qualunque possibilità di biennio unitario, che avrebbe consentito di continuare a sperare in un innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni. Decidere, infine, di indicare nella scuola lo strumento per la definitiva divaricazione tra destini socialmente determinati: i nati bene al liceo; gli altri al tecnico e al professionale. L'operazione frutta allo Stato 8 miliardi di risparmio (l'ammontare dei tagli). Una cifra che forse ci suggerisce che la cultura e il danaro non sono beni omologabili ed equipollenti. E che il rendimento del singolo individuo non ha lo stesso senso del rendimento di uno Stato.
Il "risparmio" di Gelmini avrà un doppio effetto: ridurre la qualità del servizio (pertanto la stessa prestazione costa ai cittadini di più e il rendimento individuale scende); rendere i cittadini meno produttivi qualora non suppliscano con la spesa privata, essendo la qualità del servizio diminuita.

martedì 3 novembre 2009

Non mettiamoci una croce sopra

Beh, la notizia è anche un'altra, a dire il vero. Una notizia storica: la Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha emesso una importantissima sentenza che afferma testualmente quello che da sempre chiunque abbia a cuore la laicità della scuola ha sostenuto: "La presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce una violazione della libertà dei genitori ad educare i fgli secondo le loro convinzioni" e una violazione "alla libertà di religione degli alunni". Finalmente un elemento significativo e incontrovertibile per esigere l'allentamento della pressione clericale sulla scuola italiana. E per dare aria nuova a tante battaglie che si sono fatte in questi anni per far prevalere il principio di uguaglianza - troppo spesso dimenticato altrove - almeno nel luogo dell'educazione alla cittadinanza, dell'inclusione, dell'integrazione, dell'emancipazione, delle pari opportunità per tutti.

Esercizi di pazienza

Provate a prendervi la briga di contare - consultando un qualsiasi motore di ricerca o su una qualsiasi rassegna stampa specializzata - gli articoli che da un anno e mezzo a questa parte i quotidiani hanno dedicato al pur importante, ma non così sostanziale, tema del "grembiulino"; provate a quantizzare gli interventi relativi al voto in condotta, la panacea per ogni male della scuola, che funziona da deterrente al bullismo come una spolverata di zucchero su una tana di formiche. Fiumi di parole, milioni di caratteri digitalizzati per spiegare, chiosare, commentare. Mentre qualcuno si occupava di "informare" su questi demagogici segni di rigore, di ordine, su questo interventismo da operetta di facile impatto mediatico e di facile suggestione nell'immaginario collettivo il trio Tremonti-Gelmini-Brunetta faceva fuori 140.000 posti di lavoro (tra docenti e personale Ata) "risparmiando" 8 miliardi di euro in 3 anni, spalmati sul taglio del personale e su tagli alle scuole. Innescava la guerra tra poveri (docenti di ruolo e docenti precari) affidando ai primi (con la complicità di presidi più realisti del re) il compito di neutralizzare i secondi. Scardinava l'architettura scolastica in ogni sua declinazione, dalla primaria alla secondaria di II grado, nell'indifferenza sostanziale di politica e opinione pubblica rispetto a un vulnus inferto al nostro sistema di istruzione statale che promette di essere difficilmente sanabile. Indeboliva ulteriormente il già precario credito che la società affida ai docenti di ogni ordine e grado, marchiandoli con la lettera scarlatta di "fannulloni". Dimenticava completamente il problema della sicurezza negli edifici scolastici, dove i nostri figli, i nostri studenti, noi lavoratori trascorriamo molte ore della giornata. Minava, insomma, in maniera definitiva il diritto allo studio. Compiva poi scorribande inaccettabili in materie le più varie - dalla contrattazione sindacale, alla adozione dei libri di testo, all'ora di religione cattolica - infliggendo a diritti sindacali, libertà di insegnamento, laicità della scuola colpi violentissimi. E molto molto altro ancora. Ci sarà modo di parlarne. L'informazione dov'era?
La notizia di oggi è che anche il coordinamento dei precari aderisce al sit-in del 6 novembre davanti alla Rai. Ma per trovarla dovete navigare pazientemente in Rete.

lunedì 2 novembre 2009

Davide e Golia

Venerdì 6 novembre alle 14.00 presidio davanti alla RAI, a Roma, per la mancata
informazione sui problemi della scuola: il silenzio o la malainformazione dei media - occupati a registrare pedissequamente le tappe dell'ultimo scivolone a sfondo sessuale di chi dovrebbe concentrarsi forse con maggiore attenzione sul mandato che elettrici ed elettori gli hanno affidato e sulla responsabilità pubblica che l'opzione politica automaticamente comporta - comincia ad essere talmente tangibile da diventare finalmente bersaglio della protesta della scuola che non si arrende. Come Davide e Golia si fronteggeranno la parte del Welfare più dignitosamente consapevole della propria mancanza di appeal (in quanto non produttiva di risultati quantizzabili in termini immediatamente economici, non produttiva di profitto) e un sistema della (dis)informazione più o meno generalizzata, che quei risultati pretende per accendere e spegnere i riflettori sulla realtà, avendo il potere di farla diventare notizia. Il picconamento programmato della scuola pubblica italiana, la sua distruzione pezzo per pezzo hanno destato qualche curiosità ai tempi dell'accanimento sul "gioiello di famiglia" (la scuola primaria). Sulle superiori un ostinato silenzio disinteressato.

sabato 31 ottobre 2009

La carota e il bastone

Molti di noi lo avranno visto al Tg1 di qualche sera fa sbracciarsi, come di consueto, e spiegarci con la sua area dottorale e saccente che siamo stati cattivi, che meritiamo una punizione, che adesso pagheremo le conseguenze delle nostre azioni. Non sto esagerando: con l'aria dell'istitutore che non vorrebbe, ma che deve, profondamente convinto del valore educativo delle bacchettate sulle mani, Brunetta ha spigato ai lavoratori del Pubblico Impiego che le regole cambiano ancora, per colpa loro, del loro assenteismo, della loro inefficienza, della loro improduttività. La fascia di reperibilità per malattia aumenta di 3 ore. Così impariamo. Non siamo stati abbastanza capaci - noi lavativi-fannulloni-improduttivi-assenteisti - di meritare la carota che, benevolmente, ci aveva concesso di riportare la fascia a 4 ore, dopo che erano state ampliate a 11. Non sono una fan dell'epica "insegnanti tutta brava gente". Ma credo che una generalizzazione così sconsiderata e irrispettosa da parte di un ministro non possa che produrre un'automatica difesa di una categoria che, come tutte, ha i suoi chiari e i suoi scuri. Ma che, come tutte e forse più di altre, merita rispetto per la funzione che globalmente svolge per la crescita del Paese.
Le ritorsioni legislative a carattere autoritario, come il 5 in condotta, la non ammissione agli esami con un'insufficienza e altri provvedimenti che il governo ha ispirato - a scuola come altrove - alla logica del pugno di ferro, sono i meno idonei a raggiungere l'obiettivo dell'interesse generale. Non a caso è lecito dubitare che sia proprio quello l'obiettivo di chi ci governa.

martedì 27 ottobre 2009

E' successo un articolo

Un uno-due di "Repubblica" sui regolamenti delle scuole superiori, che prospettano quadri orario, tagli di discipline, un riordino che ancora non è legge (perché deve ancora superare l'iter previsto per l'approvazione definitiva e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) come se lo fossero, ha scatenato reazioni immediate da parte delle scuole; molto più di qualunque manifestazione, di qualunque convegno, di qualunque assemblea sindacale. Di qualunque tentativo di informarsi seriamente, professionalmente, su quanto ci si sta abbattendo addosso. Di un'onesta e seria lettura dei regolamenti, insomma.
Quegli articoli sono capitati nel periodo "caldo" dell'orientamento: il periodo in cui le scuole superiori si rivolgono agli alunni delle III medie e alle loro famiglie per aiutarli a decidere la scuola da scegliere (possibilmente la propria, a dispetto di qualsiasi vocazione). E' una delle strane logiche in cui il neoliberismo imperante ha piombato la nostra povera scuola: la vendita di un prodotto, magnificandone caratteristiche e potenzialità. L'elogio del Pof, insomma.
Da quando l'autorevole quotidiano ha prospettato una realtà (ahimé) probabile come defintiva, scuole medie e superiori hanno cominciato a scaldare gli ingranaggi della potente macchina dell'orientamento, molto spesso non preoccupandosi di verificare le notizie. Più che Gelmini poté Intravaia, sarebbe il caso di dire (è questo il nome del giornalista che si occupa su "Repubblica", quasi sempre in maniera piuttosto seria e documentata, di questioni scolastiche). "Repubblica" ha spiegato ai docenti italiani che c'è la "riforma" che non c'è (ancora). E molti degli insegnanti le hanno creduto. L'onere della prova di dimostrare il contrario (e cioè la verità) alle donne e agli uomini di buona volontà. E' successo un articolo: ovvero l'informazione e la formazione nel nostro Paese.

sabato 24 ottobre 2009

Marchiati a fuoco

Non fraintendetemi. Credo che l'episodio dello Steiner, oggi come tre anni fa, quando ci fu il pestaggio del ragazzo disabile, meriti attenzione, indignazione, assunzione di responsabilità, ricerca di cure per una gioventù a volte troppo malata di noia, abbandonata al vuoto pnuematico e imbottita di voglia di protagonismo per sanare un esserci che non c'è. Ma è possibile che la scuola, da qualche anno a questa parte, meriti la prima pagina (per breve tempo, tuttavia) o se licenziano 140.000 persone; o in seguito ad episodi come questi, che potrebbero capitare ovunque, al parco, in casa, in cortile, per strada? Che sono certamente il senso di una crisi educativa molto molto più ampia di quel che potrebbe sembrare, che investe - come la scuola - la famiglia, la collettività, il sistema sociale e i suoi meccanismi di riproduzione del nulla?
Ci stanno smontando la scuola dello Stato, pezzo dopo pezzo. Alla complessità del reale si risponde con una formula di semplificazione agghiacciante, le cui spese saranno - come al solito - a carico dei più deboli. Ci stiamo accingendo ad "orientare" i ragazzi della III media (le iscrizioni scadono a febbraio) con dei regolamenti non ancora approvati che disegnano la scuola più minimale, più misera, più selettiva su base sociale che la nostra Repubblica abbia mai avuto, dal 1962 ad oggi. Il silenzio dei media è assordante. Ma d'altra parte rispetta quello, ancor più scandaloso, di gran parte degli insegnanti delle scuole superiori, misteriosamente inabili a qualsiasi forma di reazione, ancora inconsapevoli della tragedia socio-culturale che si sta abbattendo sulla scuola italiana.
Infine: credete che il fanoso 5 in condotta - esibito da Gelmini come il deterrente di tutti i bullismi - sia stato preso in considerazione dai ragazzi che per ammazzare il tempo hanno deciso di marchiare a fuoco il proprio compagno?

lunedì 19 ottobre 2009

Deficit d'attenzione

"La Repubblica" di venerdì scorso riporta due pagine intere dedicate alla cosiddetta riforma delle superiori: un pasticcio improvvisato e pedestre che divarica definitivamente i destini dei giovani su base sociale, da una parte i "nati bene" frequentatori dei licei; dall'altra gli "sfigati", accompagnati verso un'istruzione tecnico-professionale che sempre meno somiglia alla scuola e sempre più a un avviamento precoce al lavoro e a un subappalto esternalizzato. Una documentazione abbastanza dettagliata di tagli di ore, spostamenti di materie, annullamento di discipline declinata con impassibile oggettività, quasi si trattasse di calcoli ragionieristici e non del crollo di qualunque idea di scuola dell'inclusione e dell'emancipazione; di scuola coerente con la complessità del fuori; di scuola della cittadinanza. Del crollo di qualunque progetto culturale svincolato da miseri vincoli di bilancio.
Il concetto più ripetuto: la diminuzione del tempo scuola e l'impoverimento dell'offerta formativa, che tocca tutti gli istituti. Un dato su tutti: in media le superiori perderanno 3 ore settimanali, cioè il 10% del tempo scuola complessivo. Non è una notizia neutra. Direi si tratta di una vera e propria tragedia culturale, oltre che umana, considerando le conseguenze in termini di posti di lavoro tagliati. Eppure silenzio. La notizia è più o meno stata diffusa da giugno, quando i regolamenti delle superiori sono stati approvati dal Consiglio dei Ministri. Da allora non un editoriale, non un intervento televisivo da parte dell'intellighenzia del nostro Paese. Non un commento esplicito da parte dell'"opposizione". La demolizione della scuola della Repubblica è ai massimi storici. L'attenzione su di essa al minimo.

domenica 18 ottobre 2009

Osserviamo insieme?

Proprio per la mia duplice esperienza - di insegnante e di pubblicista che si è occupata esclusivamente di politiche scolastiche - mi piacerebbe che questo spazio rappresentasse un ossrvatorio dal quale segnalare il modo in cui i media riflettono (sul)la scuola. Si tratta di un punto di vista interessante, se solo si pensa all'influenza che quella rappresentazione ha sulla percezione e sulla coscienza che la collettività ha del nostro sistema di istruzione e delle politiche che coloro che ci governano individuano ed applicano.

sabato 17 ottobre 2009

Inaugurazione

Esordisco oggi nel mondo dei bloggers. Ho esperienza di scrittura su quotidiani tradizionali e sul sito di Pavonerisorse dove mi sono occupata di politiche scolastiche, argomento che tratterò anche in questo spazio, che ho aperto come regalo di compleanno.
Benvenuti!
Marina