lunedì 30 novembre 2009

Pagheranno la nostra crisi

Sono stata intervistata da Red TV. Ecco il video:

Senza conoscenza non c'è futuro?

Bello il video che trovate sulla home page della FLC CGIL.


E' stato girato a Roma, durante un sabato soleggiato di novembre, durante la manifestazione "100 piazze per la conoscenza". Parla di un Paese in cui cittadini, lavoratori, intellettuali, giornalisti convergono nell'affermazione - che dà il titolo al filmato: "Senza conoscenza non c'è futuro". Già, giornalisti. I due più famosi intervistati lì, Oliviero Beha e Riccardo Bocca, quante parole hanno speso negli ultimi anni per sostenere la qualità della scuola dello Stato? Quanto si sono tenuti informati, aggiornati, hanno seguito e stigmatizzato il processo di deterioramento, di disinvestimento e spesso di oltraggio che si sta perpetrando da tempo ai danni della scuola? Perché in prima persona, loro che sembrano - considerate le dichiarazioni - avere le idee piuttosto chiare in proposito, non si propongono come iniziatori di un nuovo corso dell'informazione sollecita, puntuale, attenta rispetto a ciò che sta accadendo?Sarebbero di un tempismo eccezionale. Tra pochi giorni passeranno in seconda lettura in Consiglio dei Ministri regolamenti sul riordino della scuola superiore che, se solo letti, restituiscono una scuola minimale, la cui modificazione risponde esclusivamente a esigenze di risparmio. Ma che nel contempo dissipa il mandato che alla scuola dello Stato aveva affidato la nostra Costituzione. Una scuola molto molto diversa da quella che la propaganda sta celebrando. Provare per credere.

domenica 29 novembre 2009

Commemorazione (provvisoria) della scuola della Costituzione

Che la Costituzione sia considerata un orpello demodé in questo strano periodo della nostra storia è provato dalle conseguenze di un fatto che è rimbalzato sulle pagine dei giornali con i consueti toni scandalistici: una nota ministeriale intitolata "Commemorazione dei sei soldati morti a Kabul" aggiungeva - all'informazione sul tragico evento del 17 settembre scorso, che tutti ricorderanno - un "invito" rivolto ai dirigenti a "promuovere nelle scuole occasioni di riflessione e di solidale partecipazione, osservando alle ore 12,00 di lunedì p.v., in concomitanza con i funerali solenni, un minuto di silenzio”. Un invito è un invito, si sa. Si può declinare, accettare. Non implica coercizione. Non prevede accoglimento necessario. Simonetta Salacone, dirigente della scuola Iqbal Masih, una delle anime della scuola democratica nel nostro Paese, che all'epoca non accolse l'invito - per una serie di motivi che qui è inutile sottolineare e che, soprattutto, non aggiungono nulla al senso di questa riflessione - è sotto procedimento disciplinare per aver declinato? ignorato? non accolto? non ricevuto in tempo? l'invito di Gelmini. In realtà, qualsiasi sia la risposta a quelle domande, nell'atteggiamento della Salacone si configurano soprattutto due principi sanciti dalla nostra Costituzione: la libertà d'insegnamento dell'art. 33 e l'autonomia scolastica riconosciuta dal nuovo Titolo V (art. 117). Principi che evidentemente non sono da considerarsi elemento significativo per assumere o no un provvedimento contro l'"indisciplinata" Salacone. Talmente indisciplinata da animare, lo scorso anno, un movimento di resistenza appassionata alla scuola-Gelmini; che si configurava sotto forma di decreto-legge (senza possedere requisiti di necessità e urgenza) e normava sotto forma di circolare ministeriale sulle iscrizioni la materia ancora non approvata contenuta nel regolamento sulla scuola primaria. Il non essere esecutori acritici del Berlusconi pensiero non va bene. E certe violazioni, a quanto pare, non ammettono perdono. Questa triste storia - giocata tra reali violazioni ministeriali e patetica coercizione demagogica all'omologazione ad un rituale collettivo di pura forma (il minuto di silenzio) che nulla dice sull'effettiva partecipazione a un realissimo dramma determinato da un realissimo stato di guerra - ci racconta un'Italia in cui le vie per intimorire, stigmatizzare, mortificare sono infinite. E assumono, in modo sempre più preoccupante, l'obiettivo strategico della repressione degli ormai rari rigurgiti di scuola democratica, laica, autonoma, riflessiva.

domenica 22 novembre 2009

Dubbi impudichi?

Su Repubblica di ieri Bartezzaghi ha scritto un interessante articolo sugli e-book. Argomento suggestivo, sul quale vi invito a leggere una riflessione di Marco Guastavigna e mia, che rimanda, peraltro, anche al problema dell'adozione dell'e-book di testo, che presto - con la prossima circolare in proposito - ritornerà in auge. In linea generale, come si può evincere da alcune analogie tra il nostro scritto e il pezzo di Bartezzaghi, condivido certe perplessità e sono certa che alcune resistenze saranno dure a morire; sulla necessità che muoiano, poi, sarà bene chiarirsi le idee, considerando che non esiste uno statuto prescrittivo di modalità di lettura migliori o peggiori. Esistono i gusti, le preferenze, le vocazioni singole, le storie individuali, le tradizioni. Esiste il mondo intorno, che cambia e ci sollecita a sfide che non devono essere intraprese fidesiticamente, ma se ne vale la pena, se esistono margini di miglioramento rispetto alla situazione precedente. Ed esiste la capacità di riflettere distintamente su contenuto e contenitore. Una distinzione che, in questo caso, si riempie di quei significati sui quali abbiamo cercato di soffermarci con spirito critico e analitico, tentando, quanto più possibile, di esentarci da timori di lesa maestà e ossequi alla tradizione e alla Cultura più tradizionalmente significativa.
Vorrei qui provare ad estendere il discorso a un piano più generale, che non contempli esclusivamente le propensioni dei lettori abituali, di coloro che in questi anni di scarso appeal della lettura registrato dal nostro Paese, hanno tenuto condotte di lettura superiori a quelle medie, peraltro modestissime. Il recente rapporto Censis sulla comunicazione ha rivelato, insieme ad una serie di dati molto significativi sugli stili comunicativi nel nostro Paese, una ulteriore flessione della lettura sulla quale sarà il caso di riflettere. In una situazione di emergenza culturale, in cui i social network sottraggono tempo al leggere; in cui il press divide rappresenta un fenomeno indicativo di tendenze che - oltre a far storcere il naso ai puristi dell'odore della carta e delle sensazioni tattili - dovrebbero far riflettere sulle propensioni al consumo di lettura e di informazione; in cui - dal punto di vista scolastico - le competenze di lettura dei nostri quindicenni (uno dei benchmark di Lisbona) stanno diminuendo, anziché aumentare; in cui la familiarità delle nuove generazioni con dispositivi digitali è evidentissima; credo sarebbe opportuno svincolare la tradizionale diatriba (libro cartaceo-e-book) da posizioni apocalittiche o integrate e puntare alla sostanza del problema: l'atto della lettura come elemento di cittadinanza, di educazione, di cultura, di emancipazione, indipendentemente dal dispositivo di cui ci si serve. In una fiducia, questa sì motivata, radicata in secoli di tradizione e di cultura, che il libro non morirà mai. Che la suggestione che un libro sprigiona potrà continuare ad essere tramandata, tanto essa è intrinseca e capace di esercitare fascinazione, E che il nostro legittimo piacere di accedere alla lettura attraverso il dispositivo cartaceo non è in pericolo; né sono in pericolo i numerosissimi valori aggiunti che quel dispositivo automaticamente comporta, convogliando significatività.
Da parte di noi insegnanti, per quanto riguarda l'editoria scolastica, sarà a maggior ragione necessario esigere in modo intransigente che i dispositivi digitali offrano standard qualitativi, quanto ai contenuti che propongono, almeno analoghi a quelli del cartaceo. Ammesso che la proposta dell'e-book a scuola diventi qualcosa di realmente praticabile e non l'ennesima trovata demagogica.

venerdì 20 novembre 2009

Luci della ribalta

Scrivo questo post per la prima volta con un bellissimo e-Mac, schermo 20 pollici, che mi è appena stato regalato. Annoto questo dato per fermare ancora di più nel tempo l'emozione che questo dono mi ha provocato. Ma procediamo.
Ieri, ascoltando casualmente - cosa che non faccio mai - il Tg2 delle 13.00 vengo attirata dalla notizia che alcuni licei di Roma avrebbero deciso di affibbiare il 5 in condotta ai ragazzi che occupano la scuola; inoltre che "l'intenzione di manifestare" da parte dei ragazzi sarà repentinamente segnalata alle famiglie via sms (miracolo della tecnologia!). Rimango piuttosto sconcertata dalla notizia; scandalizzata decisamente dalla seconda. Non foss'altro perché in questo mese a Roma molti licei hanno occupato simbolicamente, organizzando "didattica alternativa", informazione sui regolamenti Gelmini, talvolta anche con l'aiuto degli insegnanti. E le cose sono andate avanti piuttosto pacificamente e senza particolari attriti. Un analogo servizio è stata passato sul Tg del Lazio.
La scuola raramente ha l'onore delle cronache. Ma l'apoteosi della funzionalità degli strumenti che il nostro lungimirante ministro ha approntato per reprimere, non sfugge ai più attenti professionisti della piaggeria. Ad una stampa compiacente e pronta a battere i tacchi e mettersi sull'attenti. Nessuna analisi, nessuna riflessione sul fenomeno. Solo il senso della vittoria del Bene sul Male. Solo il trionfo di serietà, autorità, muscolarità, dagli effetti rassicuranti. Eppure nel vuoto pneumatico dell'informazione, della partecipazione, di una politica che ha dimenticato mandato e vocazioni, di un sistema di imbarbarimento diffuso e istituzionalizzato, la notizia dovrebbe essere (si tratta, oltre che di una notizia, di un vero e proprio miracolo) il fatto che ragazzi figli di Maria de Filippi e delle scatole che ti fanno diventare ricco, del Grande Fratello e dei riflettori che creano la realtà e la annullano quando si spengono, trovino voglia, motivazione, energia per scendere in piazza, per manifestare, per tentare di capire qualcosa di questo liquame mefitico in cui vivono. Che per un attimo tentino di sottrarsi al destino di consumatori acritici al quale li abbiamo troppo spesso condannati o nel quale colpevolmente li lasciamo. Non sto legittimando l'occupazione delle scuole. Ma credo che un Paese che abbia a cuore il proprio futuro non possa non rallegrarsi del rigurgito di partecipazione che in molti istituti si sta manifestando, nonostante il disinteresse, l'inerzia, la passività di tanti degli adulti di riferimento. Forse loro, i ragazzi, si stanno accorgendo che ci stanno smontando pezzo dopo pezzo la scuola. Forse sono meno tristi e depressi di noi, più disposti ad una reazione. Forse di questo dovremmo almeno incuriosirci, se non interessarci. Cosa fareste voi, se vi arrivasse un sms per avvertirvi che - attenzione! - vostro figlio "ha intenzione" di manifestare?

domenica 15 novembre 2009

pedagogia di Stato

La settimana scorsa un articolo sul "Corriere della Sera" ha sollevato il problema dell'insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione", uno delle new entry disciplinari del Gelmini curricolo. Il rischio - secondo molti - è quello di farne un'ulteriore "educazione" nella scuola della ineducazione. Persone, amici, che stimo moltissimo e che da anni si occupano intensivamente dello studio della Costituzione e del senso che potrebbe assumere nel percorso scolastico, continuano a ribadire che - nonostante il rischio sia concreto - la necessità che la Costituzione entri nella scuola è prioritaria. Vorrei qui sottolineare un paio di concetti. L'introduzione dell'insegnamento di Cittadinanza e Costituzione si colloca nella generale deriva autoritaria che caratterizza la gestione Gelmini, come risposta al fenomeno del bullismo; e - più in generale - in quella introduzione coatta, non negoziata e intransigente di determinare il ritorno a regole, a rigore, a rigidità (tutti ingredienti capaci di minare la dimensione relazionale nella scuola e di tradirne la sua finalità, non di curare il bullismo) muscolari, di facile effetto, che possono solleticare al più la sensibilità di chi ha apprezzato il decreto sicurezza, le ronde, e le varie declinazioni di una scuola che ritorna indietro di 50 anni. Io credo che la Costituzione possa e debba trovare nella scuola della Repubblica il luogo primario della sua conoscenza. Ma confinare il suo insegnamento nell'ambito di una disciplina separata, con tanto di orario e valutazione, crea il rischio di piegarla ad una sorta di "pedagogia di Stato". Mentre si tratta del contenuto più trasversale e pluridisciplinare, che solo in una strutturazione dei curricoli in verticale, in una flessibilità organizzativa e curricolare reale e finalizzata a licenziare cittadini consapevoli e critici, potrebbe trovare la collocazione più significativa. Ma di tutto questo, nel nostro Paese, non si discute più da tempo.

domenica 8 novembre 2009

Contraddizioni

Leggo sul "Corriere della Sera" di oggi un pezzo di Giulio Benedetti che riferisce di uno studio della Banca d'Italia, che ho scaricato e che mi accingo a studiare, che dimostrerebbe che un buon diploma e una buona laurea significano una maggiore possibilità di trovare un'occupazione, salari più elevati ecc: in conclusione, un ritorno dell'8% del capitale investito per ciascun anno di corso (al Sud il 9%). Un rendimento medio privato per ogni anno di istruzione ben maggiore di qualunque altra forma di investimento. E questo solo per considerare il guadagno individuale derivante dalla formazione, trascurando quindi le "economie esterne" e i vantaggi che toccano tutta la collettività.
Molto bene, in fondo la conferma di quanto - in termini differenti - pansiamo, diciamo, scriviamo da anni. Che va a corroborare con dati economici una serie di altri concetti - la cultura emancipante, la cultura come rafforzamento della cittadinanza, la cultura come costruzione di identità, la cultura come creazione di lavoratori più felici e consapevoli - che ci porta a individuare nelle politiche di risparmio con cui da anni si gestisce la scuola della Repubblica una delle più colpevoli mortificazioni del processo di crescita del Paese.
Quello che decisamente stupisce è il commento di Gelmini ai dati evidenziati dallo studio degli economisti Cingano e Cipollone: «Il modo migliore per rispondere alla crisi è prendere atto che siamo nel­la società della conoscenza, e dunque occorre attrezzarsi». Verba volant, lo sappiamo. E nessuno si prenderà mai la briga - in questo come in molti altri casi - di inchiodare Gelmini all'incoerenza delle sue affermazioni. Alcuni dei modi che hanno scelto: distruggere il sistema del team e delle compresenze alla scuola primaria, indicato in tutta Europa come un modello didattico estremamente efficace; decurtare 140.000 unità di personale scolastico; aumentare il rapporto alunni/docente per classe; ideare una "riforma" della scuola secondaria che taglia tempo scuola, discipline, laboratori e - di conseguenza - sostegno per i diversamente abili, inclusione per i migranti; annullare qualunque possibilità di biennio unitario, che avrebbe consentito di continuare a sperare in un innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni. Decidere, infine, di indicare nella scuola lo strumento per la definitiva divaricazione tra destini socialmente determinati: i nati bene al liceo; gli altri al tecnico e al professionale. L'operazione frutta allo Stato 8 miliardi di risparmio (l'ammontare dei tagli). Una cifra che forse ci suggerisce che la cultura e il danaro non sono beni omologabili ed equipollenti. E che il rendimento del singolo individuo non ha lo stesso senso del rendimento di uno Stato.
Il "risparmio" di Gelmini avrà un doppio effetto: ridurre la qualità del servizio (pertanto la stessa prestazione costa ai cittadini di più e il rendimento individuale scende); rendere i cittadini meno produttivi qualora non suppliscano con la spesa privata, essendo la qualità del servizio diminuita.

martedì 3 novembre 2009

Non mettiamoci una croce sopra

Beh, la notizia è anche un'altra, a dire il vero. Una notizia storica: la Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha emesso una importantissima sentenza che afferma testualmente quello che da sempre chiunque abbia a cuore la laicità della scuola ha sostenuto: "La presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce una violazione della libertà dei genitori ad educare i fgli secondo le loro convinzioni" e una violazione "alla libertà di religione degli alunni". Finalmente un elemento significativo e incontrovertibile per esigere l'allentamento della pressione clericale sulla scuola italiana. E per dare aria nuova a tante battaglie che si sono fatte in questi anni per far prevalere il principio di uguaglianza - troppo spesso dimenticato altrove - almeno nel luogo dell'educazione alla cittadinanza, dell'inclusione, dell'integrazione, dell'emancipazione, delle pari opportunità per tutti.

Esercizi di pazienza

Provate a prendervi la briga di contare - consultando un qualsiasi motore di ricerca o su una qualsiasi rassegna stampa specializzata - gli articoli che da un anno e mezzo a questa parte i quotidiani hanno dedicato al pur importante, ma non così sostanziale, tema del "grembiulino"; provate a quantizzare gli interventi relativi al voto in condotta, la panacea per ogni male della scuola, che funziona da deterrente al bullismo come una spolverata di zucchero su una tana di formiche. Fiumi di parole, milioni di caratteri digitalizzati per spiegare, chiosare, commentare. Mentre qualcuno si occupava di "informare" su questi demagogici segni di rigore, di ordine, su questo interventismo da operetta di facile impatto mediatico e di facile suggestione nell'immaginario collettivo il trio Tremonti-Gelmini-Brunetta faceva fuori 140.000 posti di lavoro (tra docenti e personale Ata) "risparmiando" 8 miliardi di euro in 3 anni, spalmati sul taglio del personale e su tagli alle scuole. Innescava la guerra tra poveri (docenti di ruolo e docenti precari) affidando ai primi (con la complicità di presidi più realisti del re) il compito di neutralizzare i secondi. Scardinava l'architettura scolastica in ogni sua declinazione, dalla primaria alla secondaria di II grado, nell'indifferenza sostanziale di politica e opinione pubblica rispetto a un vulnus inferto al nostro sistema di istruzione statale che promette di essere difficilmente sanabile. Indeboliva ulteriormente il già precario credito che la società affida ai docenti di ogni ordine e grado, marchiandoli con la lettera scarlatta di "fannulloni". Dimenticava completamente il problema della sicurezza negli edifici scolastici, dove i nostri figli, i nostri studenti, noi lavoratori trascorriamo molte ore della giornata. Minava, insomma, in maniera definitiva il diritto allo studio. Compiva poi scorribande inaccettabili in materie le più varie - dalla contrattazione sindacale, alla adozione dei libri di testo, all'ora di religione cattolica - infliggendo a diritti sindacali, libertà di insegnamento, laicità della scuola colpi violentissimi. E molto molto altro ancora. Ci sarà modo di parlarne. L'informazione dov'era?
La notizia di oggi è che anche il coordinamento dei precari aderisce al sit-in del 6 novembre davanti alla Rai. Ma per trovarla dovete navigare pazientemente in Rete.

lunedì 2 novembre 2009

Davide e Golia

Venerdì 6 novembre alle 14.00 presidio davanti alla RAI, a Roma, per la mancata
informazione sui problemi della scuola: il silenzio o la malainformazione dei media - occupati a registrare pedissequamente le tappe dell'ultimo scivolone a sfondo sessuale di chi dovrebbe concentrarsi forse con maggiore attenzione sul mandato che elettrici ed elettori gli hanno affidato e sulla responsabilità pubblica che l'opzione politica automaticamente comporta - comincia ad essere talmente tangibile da diventare finalmente bersaglio della protesta della scuola che non si arrende. Come Davide e Golia si fronteggeranno la parte del Welfare più dignitosamente consapevole della propria mancanza di appeal (in quanto non produttiva di risultati quantizzabili in termini immediatamente economici, non produttiva di profitto) e un sistema della (dis)informazione più o meno generalizzata, che quei risultati pretende per accendere e spegnere i riflettori sulla realtà, avendo il potere di farla diventare notizia. Il picconamento programmato della scuola pubblica italiana, la sua distruzione pezzo per pezzo hanno destato qualche curiosità ai tempi dell'accanimento sul "gioiello di famiglia" (la scuola primaria). Sulle superiori un ostinato silenzio disinteressato.