Su Repubblica di ieri Bartezzaghi ha scritto un interessante articolo sugli e-book. Argomento suggestivo, sul quale vi invito a leggere una riflessione di Marco Guastavigna e mia, che rimanda, peraltro, anche al problema dell'adozione dell'e-book di testo, che presto - con la prossima circolare in proposito - ritornerà in auge. In linea generale, come si può evincere da alcune analogie tra il nostro scritto e il pezzo di Bartezzaghi, condivido certe perplessità e sono certa che alcune resistenze saranno dure a morire; sulla necessità che muoiano, poi, sarà bene chiarirsi le idee, considerando che non esiste uno statuto prescrittivo di modalità di lettura migliori o peggiori. Esistono i gusti, le preferenze, le vocazioni singole, le storie individuali, le tradizioni. Esiste il mondo intorno, che cambia e ci sollecita a sfide che non devono essere intraprese fidesiticamente, ma se ne vale la pena, se esistono margini di miglioramento rispetto alla situazione precedente. Ed esiste la capacità di riflettere distintamente su contenuto e contenitore. Una distinzione che, in questo caso, si riempie di quei significati sui quali abbiamo cercato di soffermarci con spirito critico e analitico, tentando, quanto più possibile, di esentarci da timori di lesa maestà e ossequi alla tradizione e alla Cultura più tradizionalmente significativa.
Vorrei qui provare ad estendere il discorso a un piano più generale, che non contempli esclusivamente le propensioni dei lettori abituali, di coloro che in questi anni di scarso appeal della lettura registrato dal nostro Paese, hanno tenuto condotte di lettura superiori a quelle medie, peraltro modestissime. Il recente rapporto Censis sulla comunicazione ha rivelato, insieme ad una serie di dati molto significativi sugli stili comunicativi nel nostro Paese, una ulteriore flessione della lettura sulla quale sarà il caso di riflettere. In una situazione di emergenza culturale, in cui i social network sottraggono tempo al leggere; in cui il press divide rappresenta un fenomeno indicativo di tendenze che - oltre a far storcere il naso ai puristi dell'odore della carta e delle sensazioni tattili - dovrebbero far riflettere sulle propensioni al consumo di lettura e di informazione; in cui - dal punto di vista scolastico - le competenze di lettura dei nostri quindicenni (uno dei benchmark di Lisbona) stanno diminuendo, anziché aumentare; in cui la familiarità delle nuove generazioni con dispositivi digitali è evidentissima; credo sarebbe opportuno svincolare la tradizionale diatriba (libro cartaceo-e-book) da posizioni apocalittiche o integrate e puntare alla sostanza del problema: l'atto della lettura come elemento di cittadinanza, di educazione, di cultura, di emancipazione, indipendentemente dal dispositivo di cui ci si serve. In una fiducia, questa sì motivata, radicata in secoli di tradizione e di cultura, che il libro non morirà mai. Che la suggestione che un libro sprigiona potrà continuare ad essere tramandata, tanto essa è intrinseca e capace di esercitare fascinazione, E che il nostro legittimo piacere di accedere alla lettura attraverso il dispositivo cartaceo non è in pericolo; né sono in pericolo i numerosissimi valori aggiunti che quel dispositivo automaticamente comporta, convogliando significatività.
Da parte di noi insegnanti, per quanto riguarda l'editoria scolastica, sarà a maggior ragione necessario esigere in modo intransigente che i dispositivi digitali offrano standard qualitativi, quanto ai contenuti che propongono, almeno analoghi a quelli del cartaceo. Ammesso che la proposta dell'e-book a scuola diventi qualcosa di realmente praticabile e non l'ennesima trovata demagogica.
domenica 22 novembre 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento